Il temporale è tra i fenomeni meteorologici più intensi e pericolosi perché in grado di scaricare ingenti cumulati pluviometrici in un breve spazio fisico e temporale degenerando talvolta in autentici nubifragi e/o alluvioni lampo. Riuscire a prevedere la localizzazione e stimare l’intensità è quindi fondamentale ai fini di protezione civile. Vediamo come fare.
Prima di tutto dobbiamo contestualizzare la previsione facendo riferimento al fatto che i temporali possono essere fondamentalmente di tipo orografico, quando una massa d’aria umida è costretta ad innalzarsi seguendo un pendio, di tipo frontale, quando sono associati al transito di una perturbazione (sviluppandosi preferenzialmente in prossimità del fronte freddo) e di tipo convettivo, quando la loro origine è di natura termica. In questa sede analizzeremo l’ultima tipologia, sia perché caratteristici dell’attuale stagione estiva ma soprattutto perché spesso possono risultare calamitosi in aree geografiche estremamente ristrette con riferimento particolare al recente caso di Cagliari del 24 giugno. Per prevederli non si può prescindere dall’analisi, oltre che del contesto sinottico, del diagramma aerologico e degli indici di instabilità, da considerarsi a tutti gli effetti una carta di identità della colonna atmosferica. A livello sinottico la presenza di aria molto fredda in quota, in scorrimento sul bordo orientale di un promontorio anticiclonico sub tropicale esteso dall’entroterra marocchino/algerino fino alle isole britanniche (qui con isolamento di una cella di blocco con valor di pressione al suolo superiori ai 1025 hPa), era favorevole alla formazione di temporali sulla Sardegna. Ma anche a Cagliari? E con quale intensità?
Veniamo al dunque e prendiamo finalmente in mano il diagramma aerologico di Cagliari relativo alla mattina del 24 giugno (frutto dell’elaborazione dei dati provenienti dal radiosondaggio) cercando di capire se l’atmosfera del mattino era favorevole alla formazione di temporali. In questo caso analizzeremo un diagramma già “costruito” nel quale, oltre all’andamento della temperatura (curva di stato, linea rossa) e del dew point (linea tratteggiata nera) con la quota, è presente la TAP (Theorethical Air Parcel line, linea grossa nera), ovvero il profilo verticale della temperatura di una particella d’aria “ideale”. Tralasciando il procedimento seguito per tracciarla (per il quale si utilizzano i valori al suolo di temperatura dell’aria, di dew point, e le trasformazioni adiabatiche secche ed umide), se tale linea, come nel caso in esame, si trova a destra della curva di stato l’atmosfera è instabile e l’instabilità aumenta man mano che cresce il divario termico tra la temperatura dell’ambiente e della particella d’aria in ascesa. L’area in rosso, compresa tra la TAP e la curva di stato (limite inferiore individuato dall’LFC) rappresenta graficamente il CAPE (Convective Available Potential Energy), ovvero l’energia potenziale disponibile per la convezione. Valori di CAPE superiori ai 2800 j/kg indicano un’elevata possibilità di temporali, anche forti e tornadici. L’area in blu, molto sottile e posizionata nella parte bassa del diagramma sotto il CAPE, è il CIN (Convective Inhibition) e ci dà una chiara idea dell’energia disponibile (J/Kg) in bassa troposfera ad impedire l’innesco di ipotetici moti convettivi. Il CIN è un valore negativo e in questo settore la particella d’aria è più fredda dell’ambiente circostante. Valori di CIN prossimi a 0 (-17 j/kg) stanno ad indicare un’atmosfera praticamente predisposta a spontanei moti convettivi. La conferma arriva anche dalla temperatura convettiva (Tc) a 25,7°C, intesa come temperatura che deve raggiungere lo strato d’aria prossimo al suolo affinché possano innescarsi moti ascensionali senza forzanti, valore raggiunto poi nel primo pomeriggio sul capoluogo sardo. Particolarmente indicativi anche i valori di LCL e LFC. Il primo indica il livello di condensazione forzata ossia la quota alla quale avviene la condensazione di una massa d’aria costretta a salire per forzanti quali possono essere ostacoli orografici, fronti o, come nel caso in esame, convergenze tra correnti al suolo rinforzatesi e organizzatesi soprattutto nel pomeriggio. In sostanza fornisce l’altezza delle basi delle nubi temporalesche e chiaramente, più è bassa la quota (414 m!) più i bassi strati atmosferici sono umidi ed instabili. Inoltre, con LCL così bassi aumentano le possibilità che eventuali formazioni tornadiche vadano in touch down raggiungendo il suolo. L’LFC (livello di libera convezione) è invece il primo livello che raggiunge una particella sollevata dalla superficie in cui la sua temperatura sia maggiore di quella dell’ambiente circostante. In sostanza, da questo livello la particella possiede una galleggiabilità positiva ed è libera di salire senza necessità di energia aggiuntiva da parte dell’ambiente. In questo caso particolare LFC e LCL coincidono perché l’atmosfera sulla verticale di Cagliari, specialmente nei primi 3000 metri, è super adiabatica.
Riassumendo, una volta portata a condensazione (poco oltre i 400 metri) l’ipotetica particella d’aria si trova già ad essere più calda dell’ambiente circostante ed in grado di proseguire la sua corsa verso le alte quote troposferiche autonomamente liberando calore latente di condensazione fino a c he non esaurisce il suo contenuto di vapore. Fino a che quota può svilupparsi il moto convettivo? Quanto può elevarsi la torre temporalesca? Ci viene in aiuto il parametro dell’lfcEL, il livello nel quale la particella d’aria in ascesa raggiunge la stessa temperatura dell’ambiente circostante esaurendo quindi la spinta convettiva, qui fissato a 12083 metri, addirittura superiore al naturale limite dell’inversione termica della tropopausa (TROP LvL) a 11672 metri. Quindi, le eventuali correnti ascensionali che alimentano il temporale (updrafts) possono avere un’energia cinetica tale da finire la loro corsa qualche centinaio di metri oltre la tropopausa, all’ingresso della stratosfera con possibili spettacolari formazioni nuvolose a cupola dette “overshooting top”. La conferma di uno sfondamento in stratosfera arriva anche dalla scansione satellitare che riporta le temperature al top delle nubi che proprio sul capoluogo sardo raggiungono i -65°C. Particolarmente predittiva è la stima della stabilità atmosferica tramite il Lifted Index (LI). E’ l’indice di instabilità probabilmente più usato ed esprime in °C la differenza tra la temperatura di una particella d’aria salita dal suolo e la temperatura dell’ambiente a 500 hPa. Il valore di -8,2°C è molto basso e insolito per le nostre latitudini (severa instabilità) e indica che l’aria delle termiche ascensionali è molto più calda dell’ambiente circostante e in grado di accelerare notevolmente durante la salita con sviluppo di violenti temporali. L’indice di Whiting (KI) valuta l’instabilità atmosferica tra gli 850 hPa e i 500 hPa prendendo in considerazione temperature, umidità a tali altezze e l’avvezione di vorticità alla quota di 500 hPa. Valori a 36,7 innalzano la possibilità di temporali oltre l’80%. Il Precipitable water (Water) ci da una chiara stima del contenuto di umidità presente nella colonna d’aria e viene espresso in millimetri. Valori superiori ai 20 mm indicano un quantitativo sufficiente per lo sviluppo di temporali, 42 mm (4,24 cm) sono invece favorevoli a nubifragi. Il Total Totals (TT) è un indice che prende in considerazione il gradiente termico verticale tra gli 850 hPa e i 500 hPa e l’umidità presente alla quota di 850 hPa. Un valore di 50,1 sta ad indicare un’elevata possibilità di fenomeni temporaleschi, con localizzate strutture violente in grado di generare tornado. Insolitamente elevato per la Sardegna anche lo SWEAT index (Severe Weather Threat Index) che invece tiene in considerazione lo shear (variazione) del vento e altri parametri termodinamici (TT). L’indice è stato coniato per gli Usa e ha carattere predittivo per quanto riguarda temporali violenti e tornado. In ambiente americano non è raro che raggiunta valori anche superiori a 600. In Italia i temporali risultano violenti con valori di SWEAT dai 200 in su (196,6 su Cagliari). Il Bulk Richardson Number (BRN) è un importantissimo parametro che ci aiuta a prevedere la struttura del temporale ed è intesa come rapporto tra la spinta di galleggiamento (stimata attraverso il CAPE) e il wind shear verticale dell’ambiente. Mentre la forza dell’updraft è correlata al CAPE, la struttura della cella dipende dal wind shear verticale.
Generalmente se il BRN è inferiore a 10 lo shear prevale sulla spinta di galleggiamento e tende in qualche modo a lacerare le potenziali celle. Valori di BRN compresi tra 10 e 35 (nal caso in esame, 28) tendono a favorire la formazione di supercelle. Oltre i 50 la spinta di galleggiamento prevale sullo shear verticale rendendo decisamente più probabili strutture temporalesche a multi cella. Ci possiamo fare un’idea ancor più dettagliata sulle caratteristiche del temporale osservando il diagramma (a sinistra) che prende in considerazione il CAPE e lo shear nei bassi strati atmosferici (4km). In questo caso appaiono probabili temporali di forte intensità con caratteristiche al limite tra multicelle e supercelle. Chiudiamo l’analisi degli indici di instabilità menzionando rapidamente il Boyden index nella cui formula non compare l’umidità ma lo spessore in decametri dello strato atmosferico compreso tra i 700 hPa e i 1000 hPa e la temperatura a 700 hPa. Premettendo che le sue performance sono migliori in occasione di temporali frontali si può comunque dire che valori dell’indice superiori a 95 (nel caso in esame 98,5) sono favorevoli alla formazione di intensa fenomenologia temporalesca.
Il diagramma aerologico del mattino forniva dunque una fotografia piuttosto nitida di quelle che erano le caratteristiche della colonna atmosferica sulla verticale di Cagliari. Le condizioni termodinamiche non solo erano favorevoli allo sviluppo di temporali ma gli indici di instabilità lasciavano ipotizzare la presenza di fenomenologia intensa, caratterizzata da forti moti ascensionali, forti raffiche di vento, grandinate e precipitazioni ad intensità di nubifragio. E infatti nel primo pomeriggio il capoluogo sardo è stato interessato un flash flood (alluvione lampo) provocato da un violento temporale intensificatosi notevolmente proprio sopra la città per la presenza nei bassi strati di una organizzata linea di convergenza di correnti. Gli accumuli pluviometrici oscillavano dai 25 mm dei settori occidentali ai 40 mm di quelli orientali in circa 40 minuti. Fenomenologia temporalesca che, poco prima di immettersi sul Golfo degli Angeli, ha raggiunto la massima intensità sviluppando spettacolari formazioni nuvolose accessorie. Nelle foto, che si riferiscono a quei momenti, è possibile notare la maestosa shelf cloud, originata dagli intensi rovesci in avanzata, e l’inflow tail nel settore in cui era presente l’updraft principale.
Video di Antonietta Martinez pubblicato su Facebook
Analisi tecnica a cura di Matteo Tidili di youtg.net